La scuola che sogniamo noi non costa nulla

La scuola che sogniamo noi non costa nulla.
Puoi entrarci sia da Torino, sia da Enna. Anche alle tre del mattino.
È indipendente e basata sulla valutazione fra pari.
È una scuola che corre alla tua velocità perché sei tu a decidere di cosa parlare. A rispondere alle domande non sono solo i docenti, ma anche i compagni di banco.
Nella scuola che abbiamo in mente noi potrebbe capitarti un professore non laureato: l'importante è che tu stia a bocca aperta ad ascoltarlo.
La nostra scuola è una condizione mentale.
È una creatura in divenire

(il manifesto di Weschool, scritto da Marco De Rossi nel 2004)

Potrebbe ben dire l’avevo detto, adesso. Marco De Rossi ha da poco compiuto 30 anni (in giugno), più della metà li ha trascorsi a far da paladino della scuola digitale e dopo la primavera 2020 non è più nello scomodo ruolo del profeta inascoltato. Durante il lockdown WeSchool, la piattaforma che ha fondato e l’unica italiana tra le tre suggerite dal Ministero dell’Istruzione per la didattica a distanza, è stata utilizzata su smartphone o computer da 1,1 milioni di studenti e docenti al giorno. E a inizio agosto è arrivato un importante investimento di 6,4 milioni di euro. È il suo momento, non c’è dubbio.

Marco De Rossi è un attivista digitale da quando aveva 14 anni. “A scuola prendevo ottimi voti tranne che in ginnastica (una volta ho persino preso il debito e ho dovuto passare l'estate a fare flessioni e addominali per recuperarlo) e in condotta perché continuavo a uscire dalla classe per fare call di lavoro o perché qualche volta facevo il pirla”. Call di lavoro a 14 anni? Sì, perché quello studente riccioluto ed entusiasta era già impegnato ad aprire la prima scuola online gratuita. Si chiamava OilProject e aveva la carica ingenua dell’adolescenza: “La scuola che sogniamo noi non costa nulla. Puoi entrarci sia da Torino, sia da Enna. Anche alle tre del mattino… “, si legge nel Manifesto di quel progetto che Marco custodisce gelosamente. “È una scuola che corre alla tua velocità perché sei tu a decidere di cosa parlare. A rispondere alle domande non sono solo i docenti, ma anche i compagni di banco… La nostra scuola è una condizione mentale. È una creatura in divenire”.

“Mi prendevano per pazzo”, racconta adesso Marco. “Era una follia sostenere che i ragazzi avrebbero studiato con lo smartphone in mano quando ancora non ce l’aveva nessuno. Era il 2004 e YouTube sarebbe nata l’anno dopo…”. Ma i sogni di un liceale intraprendente non sfumano con la maturità. OilProject cresce (arriva ad avere oltre 1 milione di studenti che la utilizzano) e si evolve in WeSchool. “Dieci anni dopo un’altra scommessa: quando nel 2016 raccontavamo di voler fare una piattaforma che girasse su smartphone, mi dicevano: siete pazzi, lo smartphone a scuola è vietato! E invece, anche prima del Covid, il 45% degli accessi erano fatti da una classe”.

E qui arriviamo all’ottobre 2020, al primo anno scolastico dopo la pandemia. A cosa servono smartphone, computer e scuola digitale dopo che si torna in aula? “Il digitale va miscelato con l’esperienza fisica”, risponde Marco che resterà un’attivista ma non è certo un integralista. “Un fatto è la didattica a distanza, che speriamo non torni più, e un fatto è la didattica blended. Adesso molti professori dicono che quanto accaduto durante il lockdown è stata una parentesi, trovando sponda nelle famiglie. Certo, quell’esperienza ha avuto tanti limiti, perché spesso è stata fatta senza strumenti e competenze adeguate. Ma non si può tornare indietro. Bisogna pensare a una scuola diversa, a una didattica integrata, perché la vera innovazione non è nelle tecnologie utilizzate ma nella metodologia di insegnamento e con WeSchool lavoreremo per accompagnare i docenti in questo percorso”. Come? Per esempio, con il primo corso strutturato come una fiction e infatti chiama La scuola di carta (evocando la celebre Casa di carta…). Ci sarà un preside che dice: e adesso basta digitale! E i professori che dovranno provare a fare comunque innovazione. “La lezione frontale non basta. Il docente che parla davanti a Zoom seduto sul divano non è scuola digitale”, dice De Rossi che adesso è impegnato a mantenere gli impegni con gli investitori, da Cassa Depositi e Prestiti ad Azimut, da TIM Venture al fondo di venture capital P101.

“Dal 27 febbraio abbiamo lavorato sette giorni su sette per tenere su la piattaforma, solo in maggio abbiamo speso 100mila euro di cloud. Speravo di avere un po’ di tregua dopo la chiusura del round ma adesso comincia tutta un’altra partita. La sfida più grande adesso e strutturare l’azienda con seniority che facciano la differenza”, dice De Rossi che guida un team di 10 persone che diventeranno 30 entro la primavera del 2021. Il 2019 si è chiuso con un fatturato di 900mila euro e mezzo milione di EBITDA. Non male ma “potremmo fare di più vista la quantità di utenti”, dice De Rossi che adesso è concentrato nello sviluppo del business. Per le scuole WeSchool è e restera gratis, ma essendo ente di formazione del Ministero propone corsi a pagamento per i docenti. La piattaforma viene poi utilizzata dalle aziende per attività di responsabilità sociale con le scuole o come strumento di formazione interna (per esempio la usa l’arma dei Carabinieri). “Stiamo studiando attività a pagamento per gli studenti e abbiamo in programma di lanciare proposte per il mondo universitario”, anticipa a Forbes De Rossi. Che spiega: Sul mercato ci sarà una forte concentrazione dei distributori digitali: noi puntiamo a essere la piattaforma dove l’elearning avviene. Per raggiungere questo obiettivo siamo aperti a tutti gli utenti e a chiunque voglia produrre corsi. A bordo ci sono già Google for Education e Zanichelli, ad esempio. Non vogliamo essere editori”

Spirito hacker, come lui stesso di definisce (se gli domandi dei suoi hobby, risponde: blockchain e nebbioli valtellinesi…), Marco De Rossi si è trovato sul traguardo prima di quanto pensasse. Si aspettava che la scuola digitale sarebbe diventata così importante? “Sì, ma non con questa velocità”. Non si è stancato dopo 16 anni di aver che fare con lezioni online, Leopardi e matematica? “ No, perché per far quello che ho fatto serve una forte passione, che è la principale motivazione, ma al contempo devi essere razionale nell’execution per riuscire a realizzare un progetto folle”. Che poi è mettere insieme Leopardi e la tecnologia, ma per poi dimenticarla. Chiude De Rossi: “Uno dei nostri progetti di Backtoschool si chiama Una settimana da CEO: i ragazzi devono ripercorre le scelte di Mark Zuckerberg durante la crisi di Cambridge analytics. E anche quando studiano Leopardi su WeSchool lavorano in gruppo, sviluppano capacità di leadership e tutte quelle che si chiamano soft skills. Il valore è studiare e lavorare in modo nuovo. Se poi lo fanno da casa o a scuola, chi se ne importa!”

(pubblicato su Forbes n. /2020)

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