La narrazione dell’innovazione: non c’è eroe senza nessuno che ne racconti le gesta

“La percezione della solidità dell’economia nei diversi periodi è influenzata dalle narrazioni, in particolare da quella sulla fiducia altrui, che in ciascuno di quei periodi prevale su altre narrazioni meno ottimistiche”

(Robert J.Shiller, premio Nobel Economia)

Nei ruggenti anni Venti a tavola si raccontavano storie di giovani banchieri che guadagnavano fortune, vedove che compravano ville grazie a investimenti facili e persone che raggiungevano il successo facilmente. Chi diceva che si trattava solo di fantasie otteneva poco ascolto. E poi arrivò la Grande Depressione del 1929. Cent’anni dopo ci troviamo nella stessa situazione ma al contrario, per fortuna: siamo nel pieno di una grande trasformazione che è anche un’opportunità di crescita e che cambierà il mondo come lo abbiamo conosciuto e interpretato fino ad oggi ma non c’è ancora una narrativa sociale adeguata. “Se non capiremo le epidemie incentrate su storie popolari non capiremo pienamente i cambiamenti subiti dall’economia e dai comportamenti economici”, scrive Robert J.Shiller, premio Noble per l’Economia nel 2013, nel libro “Economia e narrazioni” in cui dimostra che le narrazioni, soprattutto quelle che diventano popolari perché hanno la forza delle epidemie, influenzano il corso degli eventi economici (ne consiglio la lettura soprattutto a chi considera con sufficienza, se non addirittura disprezzo, il dire rispetto al fare).

L’innovazione c’è sempre stata ma in alcuni momenti diventa più intensa, pervasiva e sconvolgente. Non a caso parliamo di quarta rivoluzione industriale e trasformazione digitale. Stiamo diventando qualcos’altro: persone, imprese, società, istituzioni sono sottoposte a uno stress che non può non avere conseguenze e generare reazioni che possono arrivare fino al rigetto. I segnali non mancano: chi per principio non fa ebook o non li legge perché è meglio la carta di alberi selezionati; chi torna a stampare le foto perché la versione digitale non trasmette valore affettivo; chi sostiene, spesso a ragione, che era più semplice andare in un ufficio per sbrigare una pratica che usare una delle numerose app partorite dalle pubbliche amministrazioni.

L’innovazione digitale ha bisogno di consenso e come ottenerlo se non utilizzando correttamente tutte le leve della comunicazione? La necessità è confermata dal rapporto DESI 2022: l’Italia, terza economia europea, è solo al diciottesimo posto per livello di digitalizzazione. Un po’ meglio rispetto al recente passato ma oltre metà degli italiani è ancora analfabeta digitale e non può quindi comprendere e accettare la trasformazione digitale. Evidentemente c’è da fare un salto di qualità nella narrazione dell’innovazione. Occorre potenziare, o in molti casi creare, un racconto che sia in grado di influenzare l’evolversi dell’economia, per usare l’approccio di Shiller, di dare vita a una dimensione narrativa che faccia diventare innovazione, tecnologie, digitale prevalenti e prioritarie nel dibattito economico e politico ma anche ai tavoli dei ristoranti in questi nuovi ruggenti anni Venti.

A chi tocca questo compito? La responsabilità è diffusa, seppur con ruoli diversi: dalla classe politica ai media tradizionalmente definiti (giornali, radio, tv) fino ai diversi canali digitali, in cui siamo tutti protagonisti. Una parte importante tocca alle imprese che sono alla ricerca di uno storytelling dell’innovazione e stanno facendo molto anche se devono liberarsi dall’ipoteca tecnologica (l’innovazione non è la tecnologia) e dai modelli di comunicazione corporate che non sono compatibili con i tempi, i codici e gli obiettivi dell’innovazione.

Non c’è eroe senza qualcuno che ne racconti le gesta. Ma bisogna capire chi è e dove sta l’eroe e quali siano le gesta degne di essere raccontate. Le storie ben costruite attirano l’attenzione, creano relazione ed empatia. Ma senza visione, azione e reputazione restano solo…belle storie. Il vero storytelling è funzione del piano strategico di un’azienda e se l’innovazione non ne fa parte anche lo storytelling dell’innovazione resta, nel migliori dei casi, un buon esercizio di marketing. Come si racconta oggi l’innovazione? Nel cosiddetto ecosistema, come in tutte le comunità autoselezionate, prevale l’autoreferenzialità di temi e linguaggio. Fuori l’attenzione, discontinua, va al caso eccezionale, in positivo e in negativo con la ricerca di un effetto wow che in molti casi finisce per generare preoccupazione comunque aiuta poco a capire.

Oggi serve alzare lo sguardo, andare oltre le tecnologie e lavorare sull’impatto sociale, culturale e umano dell’innovazione digitale. C’è un tema di inclusione che, se non affrontato, porterà all’esclusione di fasce sociali e aree geografiche dal processo di cambiamento, ma c’è anche una grande questione etica, che si può sintetizzare in una domanda: che tipo di mondo vogliamo costruire? Il tutto è contenuto in una una sola parola: sostenibilità. Qual è l’impatto del lavoro dell’innovazione? Rispondere con dati e storie, non solo in termini ambientali, è uno dei prossimi grandi filoni nella narrazione dell’innovazione.

Quali sono i fattori di una comunicazione di successo dell’innovazione? La visione, la chiarezza degli obiettivi, il linguaggio. Tutto il resto, come la scelta dei canali, è una conseguenza della trinità che dovrebbe guidare ogni buona comunicazione di valore strategico. Ho le idee chiare su cosa sono e dove voglio andare? So esattamente che cosa voglio ottenere? So dirlo con le parole e il tono giusti per l’obiettivo che mi sono prefisso? Decisiva è la questione del linguaggio. Per trovare consenso, dentro e fuori un’azienda, è fondamentale la condivisione di un codice che permetta di entrare in sintonia: accade ancora raramente nella comunicazione dell’innovazione Siamo passati dai compiacimenti del gergo tecnologico al dialetto di un ecosistema che ancora preferisce specchiarsi più che mettersi in contatto con il mondo esterno.

Servono quindi creativi dell’innovazione per superare questo limite, soprattutto nell’era A.C. (After Covid) dove il bisogno di tecnologia e di soluzioni innovative aumenterà e dovrà trovare le risposte semplici di innovatori, più attenti ai risultati e meno compiaciuti delle idee. Quanto più l’innovazione saprà andare oltre il proprio dialetto,, tanto più sarà efficace e pervasiva. E diventerà magari argomento di conversazione a tavola.

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