Primi appunti per un giornalismo costruttivo che non teme l’intelligenza artificiale

 Questo articolo è stato è stato pubblicato sul numero 1/2024 di new Tabloid, il periodico dell'Ordine dei Giornalisti di Lombardia, a cui sono iscritto dal 1986.

La notizia della morte del giornalismo è fortemente esagerata, potremmo dire parafrasando Mark Twain. È da oltre un quarto di secolo, quindi grosso modo dalla diffusione di Internet, che leggiamo previsioni di scomparsa della professione, in molti casi addirittura con l'indicazione della data di scadenza dei giornali.

Scambiare la crisi e la trasformazione con l’estinzione è una distorsione cognitiva che va moderata con una diversa lettura dei fatti e, soprattutto, con una proposta di cambiamento che porti a una nuova identità del giornalismo. In questo senso torna utile ragionare sulla comunicazione costruttiva e sul suo modello, capace di dare al giornalismo un rinnovato ruolo nel mondo dei contenuti digitali, adesso generati anche con le intelligenze artificiali. Una “rifondazione” del giornalismo, che deve partire dall’accettazione delle sfide poste dai cambiamenti (tecnologici, sociali, culturali) e dalla rivalutazione dei principi fondativi della professione per rispondere ai bisogni della nuova civiltà che le tecnologie esponenziali (l’intelligenza artificiale in primis, ma non solo) stanno definendo.

La prima cosa da fare è distinguere il giornalismo dall’industria delle notizie (soprattutto della carta stampata) e affrontare le implicazioni di un paradosso solo apparente: il giornalismo senza giornali.

Da tempo il giornalismo vive ormai fuori dai giornali e, con la crescita dei canali digitali (soprattutto i social network ma anche delle newsletter), ha visto indebolirsi la sua identità rischiando di smarrirsi fuori dai media tradizionali. Un punto va fissato con chiarezza: la crisi di un’industria non comporta necessariamente la crisi o addirittura la fine di un’attività umana, specie se di grande rilevanza sociale. I nuovi canali rappresentano opportunità un tempo impensabili, anche per chi produce informazione, ma servono nuove competenze, diversi modelli organizzativi e una rinnovata relazione con chi legge, ascolta, guarda.

Non si può trovare una nuova identità senza una consapevolezza di sé, delle proprie qualità e dei propri limiti. Se andiamo all’essenza del giornalismo, troviamo un formato di narrazione caratterizzato da uno stile (chiarezza, precisione, immediatezza, obiettività, originalità) e guidato da un’etica. E ciò che viene ancora riconosciuto al giornalismo è il ruolo di abilitatore sociale e di garante di veridicità e trasparenza. Quindi, in grande sintesi, il valore del giornalismo sta nella capacità di fornire notizie e informazioni utili; di controllare il potere (il watchdog di tradizione anglosassone) ma anche la veridicità delle notizie (il fact checking).

La dieta informativa degli italiani (e non solo) è ormai digitale: la stragrande maggioranza si informa sul web o sui social e dei canali tradizionali resiste solo la televisione: lo dicono i dati del diciottesimo rapporto sulla comunicazione del Censis, che nel suo recente 57° Rapporto sulla situazione sociale del Paese ricorda il continuo arretramento della carta stampata e una certa disaffezione verso un’informazione considerata confusa e, forse, poco utile.

Il cambiamento dei canali e delle abitudini di lettura impone un profondo ripensamento: da sacerdote dell’informazione (il giornale preghiera del mattino di hegeliana memoria) a mediatore esclusivo, nella dimensione digitale il giornalista è diventato un abilitatore di conversazioni nella grande piazza virtuale e adesso può e deve indossare un nuovo abito per superare l’inevitabile stress da cambiamento, quello di garante della qualità in un mercato in cui le fonti si moltiplicano e si confondono, le notizie circolano velocemente e in maniera incontrollata e il verosimile appare sempre più vero anche quando non è reale.

Con lo sviluppo tecnologico delle intelligenze artificiali generative, che sono potenti ma hanno molti limiti, sarà sempre più forte nel corpo sociale un bisogno di “certificazione”, di garanzia della verità, di rispetto della privacy, e della reputazione altrui. Sono tutti elementi propri della professione giornalistica che ha quindi davanti l’opportunità di un’importante rivalutazione del proprio ruolo, a patto di trovare nuove modalità di espressione e di intervento. Ed è proprio qui che può aiutare il modello della comunicazione costruttiva, basato su trasparenza, autocontrollo, ascolto attento alle esigenze altrui, costruzione di relazioni solide e durature, fiducia. Per farlo proprio il giornalismo deve, però, cambiare lo status di notizia, che è tradizionalmente il suo core business: non ciò che interessa il pubblico (con tutte le distorsioni che conosciamo bene fino alla deriva dei “gattini”) ma ciò che è rilevante per creare costruzione di senso e utilità per l’audience.

Che cosa significa fare giornalismo costruttivo? Qui vogliamo evidenziare alcuni formati in cui può prendere forma la nuova dimensione del giornalismo che punta a proporre prospettive, generare comprensione della realtà, favorire il confronto e la crescita di relazioni.

L’obiettivo: far crescere la coesione sociale, la consapevolezza e la conoscenza dei cambiamenti in atto nella società. Le cose da evitare? Produrre allarmi sociali, isolare gli eventi dal loro contesto, speculare sull’emotività, generare paura del futuro e del cambiamento.

Il primo format è quello del data journalism, che non è certo una novità, visto che si può fare risalire alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso negli Stati Uniti con il “precision journalism”, quando non c’era ancora Internet. La prima svolta è arrivata con il web, adesso si può contare sulla potenza dell’intelligenza artificiale che permette di trattare enormi quantità di dati per fare inchieste o produrre report. Il D.J. è giornalismo assistito dalle macchine, che richiede team in cui siano presenti competenze di programmazione. In questa prospettiva l’intelligenza artificiale, se affrontata senza paura, può diventare un grande collaboratore (e questo è tutto un altro discorso che merita spazio e approfondimento).

Se si fa poco data journalism è perché serve tempo, è vero, così come per il Longform journalism, che è in qualche modo il prodotto di un paradosso: il web e i social riducono l’attenzione e i tempi di permanenza su un contenuto, ma questo non esclude l’interesse per testi di maggiore respiro e storie approfondite, anche online. È una versione contemporanea della lezione e dell’esperienza del New Journalism, il giornalismo con il passo della letteratura che richiede un grande lavoro di ricerca sulle fonti e i protagonisti delle storie.

Una degli elementi distintivi del giornalismo costruttivo è la relazione con l’audience, con la comunità di riferimento, che viene coinvolta per fornire notizie, dati, esperienze per migliorare la qualità delle informazioni diffuse.

Il community engagment non può, però, essere solo una dichiarazione d’intenti, come spesso capita. Serve capacità di ascolto e tempo per dare risposte, non basta comunicare. E serve una leadership: il giornalista ha la responsabilità di guidare la conversazione con la comunità e gestire le interazioni. Questo approccio può prendere diverse forme: dal citizen journalism (il primo citizen journal europeo è Agoravox, che dal 2008 ha una versione italiana) all’hyperlocal journalism, una tendenza assai interessante che arriva dagli Stati Uniti. La stampa locale è in crisi anche lì, ma si sta creando uno spazio digitale per progetti di giornalismo di vicinanza che spesso prende le mosse dai social network (magari una pagina Facebook): Washington Post e New York Times hanno lanciato diversi siti di informazione hyperlocal. Siamo di fronte a un modello che parte dalle notizie per arrivare alle interazioni, dalle città per coinvolgere i cittadini, dalle mappe per entrare nella vita quotidiana.

È un percorso in buona parte da costruire, facendo buon giornalismo senza rimpiangere quello dell’era pre-digitale e accettando l’ibridazione con le tecnologie oggi a disposizione dei professionisti. Un percorso, il giornalismo costruttivo, che dà anche una prospettiva affascinante a chi si avvicina adesso al lavoro più bello del mondo.

 

 

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