E dopo 50 anni di Web…

Il cambiamento è un fattore determinante nella storia dell’uomo, pur non essendo un carattere tipico della sua natura. Inevitabile quindi che ci sia sempre una tensione fra movimenti a livello socioeconomico e resistenze a livello psicologico. Faccio questa frettolosa premessa per inquadrare il tema dell’accesso in più ampio quadro di trasformazione che sta vivendo la nostra società. E mi riferisco a un processo che solo a una vista superficiale può apparire veloce. 

Bastano due date: Internet nasce tecnicamente nel 1969 e arriva in Italia nel 1986. Per entrare nel nostro ambito, i libri, la nascita degli ebook viene convenzionalmente fatta risalire al 1971, con il Progetto Gutenberg.   

Stiamo quindi parlando di orizzonti temporali che traguardano il mezzo secolo. E adesso quel processo è a un punto di non ritorno. Normale, quindi, sentirsi confusi e incerti di fronte a modelli sociali, economici, culturali estranei alla nostra formazione, ai nostri paradigmi intellettuali, alle nostre convinzioni. Per questo è necessario uno sforzo di alterità: bisogna andare oltre e fare enormi sforzi di immaginazione. Esercitare la creatività è la migliore risposta alle sfide che il nostro mondo ci sta ponendo. E non solo riguardo ai libri. 

Le tecnologie digitali hanno abilitato e stanno diffondendo modelli di produzione, distribuzione e consumo un tempo impensabili. L’accesso ai beni invece del loro possesso è uno di questi. La digital servitization è un percorso cominciato circa 30 anni fa, da quando il concetto è apparso in letteratura. Siamo arrivati al punto di parlare di industry as a service! Figurarsi quel che può accadere con il libro che è bene molto più “leggero” e flessibile di uno stabilimento manifatturiero.  

Io non so se l’accesso sia un bene o un male. E devo dire francamente che la questione mi appassiona poco. Per due ragioni: i processi di cambiamento non vanno né ammirati, né subiti ma governati. Non credo ci sia un determinismo tecnologico da accettare, con rassegnazione o entusiasmo secondo le diverse convinzioni. Se si imbocca questo bivio si finisce per sfuggire alle responsabilità che Governi, aziende e individui hanno.  

Ecco le persone, customer o prosumer che siano. E in loro sta la seconda ragione. Mi rifiuto di considerarle semplici ricettori di stimoli digitali ai quali reagiscono come i cani di Pavlov. Anzi, penso e vedo che Internet e le sue evoluzioni social hanno accresciuto il potere degli individui, con effetti positivi e negativi senza dubbio. Crowdsourcing, crowdfunding, peer to peer sharing, …c’è un nuovo ruolo delle folle nel mondo. Certo, si pone un’urgenza di educazione, formazione, competenze e responsabilità. Ma questo è un altro discorso che ci porterebbe troppo lontano.  

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Il libro fra carta e digitale

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E-commerce b2b, finiremo cinesi o americani?